Lunedì.
Ci vediamo dopo il breve tempo del distacco. Mi dici con lo stomaco che mi vuoi bene, ti dico con il cuore che ti voglio bene. L'anello di un abbraccio sugella l'inizio della fine. Andiamo sul monte sacro, parliamo apparentemente come al solito, confidandoci pensieri ed emozioni, offrendoci reciprocamente le nostre linee d'ombra, anche quelle più buie. O almeno credo. Mi dici che lui ti ha dato un po' il tormento, ho pensato a causa della sua totale incapacità di stare fermo e di occuparsi con frenesia delle cose, degli altri. Mi parli dell'altro lui, con gli occhi lucidi, mi dici è sempre stato in prima pagina, nascondo il mio principio di nausea e penso che sei buona. Non è vero. Mi dici che per soldi non si può fare una cosa.
Al pomeriggio mi dici che lui insiste per incontrarci, per organizzare il lavoro. Vuole farlo domani, io faccio una smorfia. Volevo un po' di tempo libero. Mi dici di non preoccuparmi: "Lo faccio fuori io." Rimango colpita e rido, no ci sono.
Martedì.
Lo incontriamo. Lui mi accenna ancora dell'altro, cerco di dirgli che sono cose loro, al di fuori del lavoro, di non portarle più. Era quello che avevamo deciso. Arrivi, sei tesa, lo sento dalla voce, lo vedo dalle mani. Il tono è secco, duro. Lui dice che l'altro lo vuole fare fuori. Gli dico che è impossibile, che non può decidere l'altro, è l'ultimo che può farlo. Così avevamo concordato, ma stai zitta e non ho sentito quel silenzio. Poi inizi a farlo fuori, proprio come avevi detto. Vedo lui tremare e lo trovo inaccettabile. Gli dici che per soldi non si può fare una cosa. Ci vedremo lunedì. Vado, la testa non ha capito, l'anima si e mi sento dissonante. Mi chiami e ti dico: "Non deve succedere più, non voglio fare del male". Mi assecondi, sembri preoccupata dei miei pensieri.
Mercoledì.
Ci vediamo, qualcosa è rotto e siamo imbarazzate. Tentiamo di recuperare con il caffè al "nostro baretto", è uno sforzo, ma sembra ci riusciamo. Concordiamo cose che non saranno più fatte. Nel pomeriggio mi chiami perchè hai bisogno di un consiglio. Ci siamo.
Giovedì
E' la data ufficiale dell'inizio. La prova del nuovo corso, del cambiamento. Ci sembra andato tutto bene. Diciamo di credere nel cambiamento. Mi ribadisci che anche se venerdì io non ci sono, vuoi davvero vedere lei e lo trovo bello.
Venerdì
Mi chiami, si sposta l'appuntamento con lui perchè hai impegni tuoi. Ti dico che se serve, io posso vederlo lo stesso, per confrontarmi, per dare uno spazio. Va bene, ma poi mi richiami per dire che le parti le dobbiamo fare a livello personale. Parliamo due lingue diverse, non ci capiamo. Mi fermo e ti chiedo perchè ci stiamo dicendo quelle cose e in quel modo. Allora la guerra non è finita? Ci siamo ancora dentro? La guerra è di lui e dell'altro lui. Non doveva essere nostra. Sembra che parlando del niente si ritrovi la stessa linea, l'accordo, il bene. Concludi: "Ti dico solo che da ora dividerò le scelte professionali da quelle personali". La parola professionale è sbagliata, ma ancora non lo so. Rimango con un moto sordo dentro di me e decido di parlarne con nessuno, sperando nella fantasia.
Lunedì
Dovevamo vederci, ma stranamente non ci sei. Sono lì sola e sono fessa. Al telefono continui a dire: "Mi dispiace". So che non sei dove dici di essere. E' il bacio che mi fa piangere e inizio a muovere la mia ribellione. Prima di sera per caso, perchè tu non le rispondi al telefono sento lei e scopro che la fantasia è la stessa, ma è quella sbagliata. Stiamo a vedere.
Alla sera, nell'istituzione ci siamo: l'altro lui, lei, te e io. Parli per 20 minuti. La voce non è tua, le parole nemmeno, oramai più pensieri. Dici io ho fatto, ho chiesto, ho deciso e chiudi il tuo, anzi no il suo farlo fuori. Soldatino senza dignità, burattino senza fili. Sto zitta. Vedo tutta la recita, tutto il nero, tutto il buio. E chiedo un foglio, in cui nervosamente dichiaro che io ne sono fuori.
Dirò solo questo e a differenza di ciò che poi avrai fretta di raccontare agli altri, non è dopo una decisione che me ne sono andata. E' prima. Quella scelta e la puzza di merda che ha è solo tua. E di quell'altro. Tronfio e compiaciuto, nell'illusione di una falsa vincita di materia. Dopo due minuti e chiedendoti conto della vergogna che non hai anche lei va. Entrambe per sempre.
La prostituta siede sulla bestia, che la sostiene. Dice Giovanni. Io cammino guardando negli occhi le persone e verso l'alto. Questa è la sottile differenza tra me e te, tra quello che farò io e quello che farai te. Questo è il mio punto di vista.